L'espressione "immagine corporea" fa riferimento alla rappresentazione mentale che un individuo ha del proprio corpo, dei suoi attributi fisici ed estetici, e all'immagine e ai sentimenti relativi alle parti costituenti il corpo stesso.
La dismorfofobia, o "disturbo da dismorfismo corporeo" (DSM-III-R), è un disturbo dell'immagine corporea caratterizzato dalla sensazione soggettiva di bruttezza o di difetto fisico che un individuo, fisicamente normale, ritiene rilevabile dagli altri. Il DSM IV definisce tale disordine "un difetto immaginario dell'aspetto", che provoca un malessere clinicamente significativo, pregiudicando il funzionamento socio-lavorativo dell’individuo.
Numerosi studi ed evidenze cliniche sui disturbi del comportamento alimentare suggeriscono che essi sono il risultato di un’immagine corporea negativa e distorta, che comporta la paura eccessiva ed intrusiva di ingrassare e l'utilizzo di comportamenti estremi per controllare il peso del corpo.
La nuova procedura di assessment e trattamento del disturbo da dismorfismo corporeo in soggetti affetti da DCA (DEICD, A. Bongiorno, G. Trapani, 2004) si basa sulla tecnica di desensibilizzazione sistematica mediante l’esposizione frazionata e graduata dei pazienti alla loro immagine corporea digitalizzata. In tale forma di esposizione, le fotografie digitali, scattate in modo da fornire una visione del corpo da quattro posizioni (frontale, laterale sx e dx, posteriore), vengono elaborate al computer mediante l’utilizzo di un noto software di grafica bitmap, con l’obiettivo di ottenere diverse possibili variazioni della silhouette, addizionando kg e cm e distribuendoli in tutto il corpo o concentrandoli soltanto in alcune parti di esso.
La metodologia DEICD, che trova le sue basi teoriche nei lavori di Wilson (1999) sulla tecnica di esposizione allo specchio e nelle procedure della Mindfulness-based cognitive therapy (MBCT) descritte da Teasdale et al. (2001), è ancora in fase di valutazione e non sono ancora disponibili i risultati sulla sua efficacia. Secondo Teasdale, la preoccupazione patologica per il peso e la forma corporea è connessa alla sintesi di schemi di significato "implicazionali", ossia relativi al sé e agli altri, che sono distorti ed influenzano negativamente le emozioni (1999).
Tenuto conto che per soggetti affetti da AN e BN la vista della propria immagine corporea costituisce un forte stimolo ansiogeno e che il disturbo dismorfofobico presenta i caratteri formali di una fobia, nonostante non comporti l'evitamento, riteniamo che tale tecnica di decondizionamento possa risultare efficace nel ridurre il disturbo cognitivo più resistente al cambiamento nel trattamento dei DCA, che induce , chi ne è affetto, a sovrastimare in modo delirante il peso e la taglia del proprio corpo.
Tratto da "DESENSIBILIZZAZIONE ATTRAVERSO L’ESPOSIZIONE ALL’IMMAGINE CORPOREA DIGITALIZZATA (DEICD). Assessment e trattamento del disturbo da dismorfismo corporeo nei DCA" ( Bongiorno A., Trapani G., Lanzarone C., 2004) .
Un disturbo profondo dell'immagine corporea, non solo dispercettiva, ma legato alla relazione emotiva con il proprio corpo è elemento centrale nella psicopatologia dei disturbi del comportamento alimentare. Il corpo rappresenta il sostegno della propria identità ed un tramite nella relazione con gli altri. Esso può essere iperinvestito e strumentalizzato, divenendo così un abbozzo di identità , un modo per riguadagnare uno spazio, per esprimere i propri bisogni, per comunicare un disagio profondo.
Emerge, quindi, il paradosso anoressico: l’intento di martoriare ed annullare la fisicità per affermare i diritti della mente. Inizialmente, c’è la fantasia di poter governare il corpo e le sue forme, negandone le esigenze e violentandolo ai propri fini. Tuttavia, nel tempo, il suo linguaggio diventa incomprensibile per la coscienza, distorto e falsato nei significati; esso si ribella, sfugge al controllo, per essere nuovamente assoggettato in una spirale in cui corpo e mente alternano i ruoli di "tiranno" e di "vittima": il conflitto tra potere della volontà e potere del corpo occupa l’intero universo anoressico, e la mediazione tra entrambi diviene sempre più difficile, talvolta impossibile.
I processi di pensiero e di ragionamento dell’anoressica si caratterizzano per la presenza di distorsioni cognitive, quali l’ipergeneralizzazione, l’astrazione selettiva, l’inferenza arbitraria e il pensiero dicotomico, per dirne alcuni; convinzioni irrazionali, pensiero magico e schemi di pensiero disadattivi sul sé, sul peso e le forme corporee, che ostacolano l'individuo nel processo di adattamento al suo ambiente, invece di agevolarlo. Le premesse di base sottese a questo tipo di pensiero costringono, quindi, la persona a formulare delle conclusioni esagerate, ipergeneralizzate e assolute e sono generalmente sintetizzate in termini assoluti quali “Sempre” o “Mai” e in termini di imposizione "Devo…".
Le vittime dell’anoressia sembrano, quindi, costrette a comportarsi in modo tale da aumentare la loro pena e la loro schiavitù. L’anoressica diviene quindi carnefice e vittima del corpo e di se stessa; tende all’autopunizione e si mette in condizione di essere bersaglio dell’attacco; il gradino finale della sua autocondanna è un totale rifiuto di sé, quasi stesse rifiutando qualcun altro. Il corpo, che doveva essere strumento flessibile a vantaggio del piano bellico dell’anoressica, ne diviene presto il padrone-tiranno.
Tratto da "Tirannia e schiavitĂą del corpo: paradossi del pensiero anoressico" (A. Bongiorno, G. Trapani, et al., 2006). |