Ogni essere umano esperisce ansia. L'ansia è un'emozione, ovvero uno stato discreto del Sistema Nervoso Centrale, un "intenso moto affettivo, piacevole o penoso, accompagnato per lo più da modificazioni fisiologiche e psichiche" (Dizionario della lingua italiana, Garzanti, 1994).
Le emozioni hanno un'importanza fondamentale: rappresentano il termometro di come vanno le cose, ci orientano nelle scelte e nei pattern comportamentali, guidandoci nel modificare le nostre credenze e i nostri scopi, e fungono da motore e ragione ultima del nostro comportamento (Bara, 2000).
Le emozioni vengono modificate dal pensiero: esse, infatti, dipendono in massima parte dagli obiettivi e dalle convinzioni dell'individuo; nell'ansia, la possibile compromissione di queste emozioni a causa di un pericolo, provoca allarme e attivazione di tutte le risorse dell'organismo.
Ansia è un termine che deriva dal tardo latino angere, stringere: è una spiacevole sensazione di pericolo che non ha una causa definita. Essa costringe ad attivarsi, a pensare, a reagire.
Differisce dalla paura in quanto in quest'ultima l'oggetto temuto è conosciuto, mentre tipici dell'ansia sono l'indefinitezza della minaccia, l'idea di un pericolo nascosto e una sensazione di inquietudine.
Le modificazioni fisiologiche che accompagnano i due fenomeni sono le stesse, in un continuum che parte dalla rilassatezza, passa per l'ansia e arriva alla paura.
Il più delle volte l'ansia è considerata un'emozione spiacevole, perché ci lascia in un angoscioso senso di "sospeso", di non risolto. Tutti noi, volenti o nolenti, sperimentiamo tensioni che ci spingono a prevedere le conseguenze delle nostre azioni e ci motivano nel perseguimento degli scopi che riteniamo importanti, mentre chiamiamo rilassamento, piacere, soddisfazione, benessere l'assenza di sensazioni di precarietà , di pericolo, di dubbio. La risoluzione dello stato ansioso è ciò che definiamo soddisfazione, appagamento. Anche nel caso di persone che ricerchino costantemente situazioni di sovreccitazione, di brivido, di desiderio affannoso nelle quali si produce uno stato di agitazione motivato da incertezza e trepidazione, l'ansia e la paura sono interpretabili come stati momentanei che l'individuo mirerà a ridurre per riportare il corpo in uno stato di (piacevole) omeostasi. Il loro scopo è quello di segnalare un pericolo e preparare l'organismo a una risposta.
Le variabili che definiscono la pericolosità di un evento sono la probabilità percepita che questo avvenga e la gravita che gli verrà attribuita rispetto agli scopi del soggetto, contrapposte alla sensazione percepita di poterlo fronteggiare e alla disponibilità di aiuti esterni.
Tutti viviamo in larga misura cercando di rendere minime le nostre ansie, di prevedere i possibili scenari, i pericoli futuri, per correggere nostra condotta e aumentare la probabilità di successo nel conseguimento dei nostri obiettivi.
Gestire l'ansia significa avere trovato delle strategie per ridurre al minimo (in un momento x) l'esistenza di situazioni pericolose "in sospeso", conflittuali o dubbiose, avere un'ipotesi di pianificazione de futuro in ottica non catastrofica, con conseguente deciso miglioramenti delle prospettive decisionali, rilassamento per riportata omeostasi degli apparati psico-fisiologici, riduzione degli effetti dello stress sul corpo (dalle cefalee ai disturbi gastrointestinali ecc), progressivo aumento del l'autostima grazie a un incremento della qualità della vita e della libertà individuale.
Il DSM-IV (1994) distingue fra il DISTURBO D'ANSIA GENERALIZZATO e due tipi di fobia: la FOBIA SPECIFICA e la FOBIA SOCIALE o ansia sociale.
La descrizione dei criteri diagnostici del disturbo d'ansia generalizzato la seguente:
A. Ansia e preoccupazione eccessive (attesa apprensiva), che si manifestano per la maggior parte dei giorni per almeno sei mesi, a riguardo di una quantità di eventi o di attività (come prestazioni lavorative o scolastiche).
B. La persona ha difficoltà nel controllare la preoccupazione.
C. L'ansia e la preoccupazione sono associate a tre (o più) dei sei sintomi seguenti (con almeno alcuni sintomi presenti per la maggior parte dei giorni negli ultimi sei mesi).
1. irrequietezza, o sentirsi tesi o con i nervi a fior di pelle;
2. facile affaticabilità ;
3. difficoltà a concentrarsi o vuoti di memoria;
4. irritabilità ;
5. tensione muscolare;
6. alterazioni del sonno (difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, o sonno inquieto e insoddisfacente).
D. L'oggetto dell'ansia e della preoccupazione non è limitato alle caratteristiche di un disturbo di Asse I; per esempio, l'ansia o la preoccupazione non riguardano l'avere un attacco di panico (come nel disturbo di panico), rimanere imbarazzati in pubblico (come nella fobia sociale), essere contaminati (come nel disturbo ossessivo-compulsivo), essere lontani da casa o dai parenti stretti (come nel disturbo d'ansia di separazione), prendere peso (come nell'anoressia nervosa), avere molteplici fastidi fisici (come nel disturbo di somatizzazione) o avere una grave malattia (come nell'ipocondria); inoltre, l'ansia e la preoccupazione non si manifestano esclusivamente durante un disturbo post-traumatico da stress.
E. L'ansia, la preoccupazione o i sintomi fisici causano disagio clinicamen-te significativo o menomazione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti.
F. L'alterazione non è dovuta agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale (per es., ipertiroidismo), e non si manifesta esclusivamente durante un disturbo dell'umore, un disturbo psicotico o un disturbo pervasivo dello sviluppo.
La distinzione tra fobia specifica e fobia sociale è caratterizzata dall'oggetto su cui si concentra l'attenzione selettiva del soggetto. Le fobie specifiche sono molto numerose e riguardano paure particolarmente diffuse come: no, auto, altezza, cani, gatti, insetti ecc. Nella fobia sociale o ansia socia il focus della paura riguarda le situazioni sociali come, per esempio: mangiare in pubblico, dialogare con colleghi di lavoro, parlare di fronte a più persone ecc. Le persone che soffrono dei disturbi qui descritti tendono a evitare le situazioni temute per non dover affrontare una sofferenza o un disagio considerato "insopportabile". Così facendo, da un lato impoveriscono il loro repertorio comportamentale, riducendo in maniera spesso significativa il loro spazio vitale, dall'altro innescano pericolosi meccanismi a circolo vizioso, determinati dalla paura della paura: più le persone evitano più si sentono incapaci e impaurite e più tendono a evitare.
Il trattamento delle fobie, e più in generale dei disturbi d'ansia, si basa essenzialmente sulle tecniche di esposizione, che però necessitano di un impegnativo lavoro di preparazione dal punto di vista cognitivo. Lo psicoterapeuta dovrà individuare le idee disfunzionali del paziente che sostengono l'emozione di ansia, per poi cercare di confutarle e costruire con il paziente delle convinzioni più realistiche e funzionali, che lo porteranno, prima a imparare ad affrontare le situazioni temute, e successivamente ad acquisire quelle abilità specifiche che lo aiuteranno a vincere l'ansia.
Per il trattamento di questi disturbi è di fondamentale importanza comprendere bene e discriminare in maniera corretta le differenze cognitive esistenti tra le varie convinzioni disfunzionali che caratterizzano i diversi tipi di ansia.
Ellis (1980) ha descritto in maniera molto originale e precisa le differenze cognitive tra i vari problemi di ansia suddividendole in due categorie principali: l'ansia dell'io e l'ansia del disagio.
L'ANSIA DELL'IO è caratterizzata da sofferenza emotiva determinata da convinzioni disfunzionali relative principalmente al concetto di valore. Coloro che manifestano questo problema temono il giudizio negativo da parte delle persone ritenute significative perché potrebbe minare l'immagine di sé e il concetto individuale di valore personale. Per queste persone il mostrarsi deboli, incapaci o "non all'altezza" risulta inaccettabile.
L'ABC tipico dell'ansia dell'io può essere così descritto:
A = Qualsiasi evento o oggetto inteso come pericolo o rischio (prestazione ecc).
B = Concentrazione sull'evento temuto e attenzione selettiva alle conferme: esclusione di esiti positivi ("può succedere solo questo"); trasformazione della probabilità in certezza ("e succederà solo questo"); terribilizzazione ("succederà nel modo peggiore..."); insopportabilità ("sarà una sofferenza insopportabile"); svalutazione globale di se stesso ("io sono un verme, un fallimento"); aspettative perfezionistiche verso se stesso ("per essere degno di valore, devo sempre funzionare in modo perfetto"); doverizzazione ("... quindi non deve assolutamente succedere").
C = Ansia, evitamento.
L'ANSIA DEL DISAGIO è caratterizzata da sofferenza emotiva determinata da convinzioni disfunzionali relative al concetto di insopportabilità . Le persone che manifestano questo problema sono fortemente convinte di non riuscire a sopportare le situazioni temute, interpretate con un'eccessiva drammatizzaione delle conseguenze che ne potrebbero derivare.
L'ABC tipico dell'ansia del disagio può essere così descritto:
A = Qualsiasi evento o oggetto inteso come pericolo o rischio.
B = Concentrazione sull'evento temuto e attenzione selettiva alle conferme: esclusione di esiti positivi ("può succedere solo questo"); trasformazione della probabilità in certezza ("e succederà di sicuro"); terribilizzazione ("succederà nel modo peggiore..."); insopportabilità ("sarà una sofferenza insopportabile"); doverizzazione ("... quindi non deve assolutamente succedere").
C = Ansia, evitamento.
La differenza tra i due modelli di ABC è relativa esclusivamente ai punti che riguardano, nell'ansia dell'io, la svalutazione globale di se stesso e le aspettative perfezionistiche di funzionamento. Si tratta di una differenza sostanziale perché implica delle peculiarità altamente significative nelle idee disfunzionali che definiscono l'ansia dell'io e l'ansia del disagio.
Nel primo caso, la convinzione tipica è la seguente: "Devo sempre funzionare al meglio, altrimenti valgo poco o nulla". Nel secondo caso, l'idea in gioco è la seguente: "Non riuscirò a sopportare la situazione...".
Molto spesso le due convinzioni sono strettamente correlate.
L'ANSIA SOCIALE E LA VERGOGNA
L'ansia o fobia sociale e la vergogna si caratterizzano principalmente per una forte paura o ansia che si manifesta nelle situazioni sociali. Il DSM-IV classifica la fobia sociale nella maniera seguente:
- Paura marcata o persistente di una o più situazioni sociali (o che implicano una prestazione), in cui l'individuo è esposto a persone estranee al possibile giudizio degli altri e in cui teme di comportarsi in modo umiliante o imbarazzante.
- L'esposizione alla situazione temuta provoca quasi sempre ansia, che può prendere la forma di un attacco di panico causato dalla situazione o sensibile alla situazione.
- La persona riconosce che la paura è eccessiva o irragionevole.
- La persona evita o sopporta con ansia o disagio le situazioni sociali (o che implicano una prestazione) temute.
- L'evitamento, l'ansia anticipatoria o il disagio interferiscono in modo significativo con le normali abitudini della persona, con l'attività lavorativa (o scolastica), con le attività o le relazioni sociali, oppure è presente un intenso disagio per il fatto di manifestare la fobia.
- Negli individui al di sotto dei 18 anni la durata è di almeno 6 mesi.
- La paura o l'evitamento non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti una sostanza o a una condizione medica generale o non sono meglio giustificati da un altro disturbo mentale.
- Se sono presenti una condizione medica generale o un altro disturbo mentale, la paura di cui al criterio A non dipende da questi.
La vergogna è il cardine su cui ruota la fobia sociale: il timore di esse mal giudicato per i propri sintomi ansiosi (una lettura del pensiero da parte degli altri che scorgeranno debolezza, fragilità ecc.) aumenta la sensazione di disagio, i comportamenti protettivi e sostiene il disturbo ansioso.
II soggetto che prova vergogna in una situazione sociale è convinto che chi lo circonda stia pensando male di lui, e sperimenta una forte ansia che lo spinge a mettere in atto dei comportamenti mirati di evitamento. Il rischio percepito riguarda una forte compromissione della propria autoimmagine con conseguente crollo dell'autostima.
Centrale in questo tipo di problemi è la metavergogna, ovvero il fatto che il paziente si vergogni di vergognarsi. Egli apprende a preoccuparsi per la propria attivazione fisiologica in situazioni sociali (arrossire, sudare ecc.), cosicché la propria inadeguatezza percepita, già inizialmente temuta, cresce in proporzione all'arousal (Hartman, 1983, 1986; Clark e Wells, 11997).
Il fobico sociale si costruisce un'immagine di sé partendo da informazioni interne, dalle sensazioni fisiche che sperimenta (Wells et al., 1995), e testa questo modello con l'osservazione della propria prestazione.
Nella terapia per la fobia sociale è dunque importante che lo psicoterapeuta spieghi al paziente quanto accade: la situazione sociale attiva gli schemi cognitivi di fallimento che scatenano una reazione ansiosa; gli effetti percepiti a causa della sensazione di pericolo incrementano l'ansia quando sono u loro volta percepiti come rischi per l'immagine (per es., la sudorazione provocata dalla paura di apparire goffo diviene un problema prioritario se il paziente pensa che gli altri lo giudicheranno per questo una persona disgustosa, aumentando quindi la percezione di pericolo, la reazione d'ansia e la sudorazione stessa).
Questo circolo vizioso può portare alla sensazione di perdita di controllo, altra grande paura dell'ansioso.
Una volta elaborato il modello di ciò che succede, lo psicoterapeuta procederà nell'identificazione e discussione delle idee disfunzionali che sostengono la fobia sociale, per poi procedere all'esposizione del paziente nelle situazioni temute.
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