Psicologa Palermo - Giusi Trapani - Disturbo Somatoforme
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Obesità infantile
Fra tutti gli elementi che costituiscono l'esperienza quotidiana, il cibo è l'unico effettivamente ineliminabile, non solo poiché costituisce garanzia di sopravvivenza biologica, ma anche perché rappresenta un organizzatore mentale e sociale, un’importante fonte di piacere e un potente ansiolitico. Secondo quanto asserito, va da sé che il cibo può divenire uno strumento di compensazione di stati di disagio psicologico o di insoddisfazione.
Nella maggioranza dei casi, dietro l’obesità, condizione medica cronica e ad eziologia multifattoriale caratterizzata da eccessivo peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo, in misura tale da influire negativamente sullo stato di salute (OMS), ritroviamo un disturbo del comportamento alimentare definito "Disturbo da Alimentazione Incontrollata" (Binge Eating Disorder) che, insieme all’anoressia nervosa e alla bulimia nervosa, colpisce, oggi, una fascia enorme della popolazione.
Obesità infantile

Le caratteristiche cliniche del disturbo da Alimentazione Incontrollata sono molto simili a quelle della bulimia: non è presente la dieta ferrea, ma sono presenti le abbuffate, anche se risulta difficile individuare la conclusione perché non c'è un comportamento, come il vomito autoindotto, che ponga termine all'episodio bulimico.
Le persone affette sono molto preoccupate per il loro comportamento, se ne vergognano e lo giudicano un grave problema, sia per la sensazione di perdita di controllo, sia per le conseguenze che le abbuffate hanno sul peso corporeo e sulla salute.
L’altra fetta della popolazione degli obesi, soffre di problematiche organiche di tipo metabolico o endocrinologico. Altri ancora, mangiano per gola, abitudine, senza sentirsi in colpa (disturbo alimentare non altrimenti specificato).
Per comprendere perché tali patologie colpiscano, oggi, i giovanissimi occorre prendere in considerazione il ruolo importantissimo giocato da mamme, papà, nonne nell’educazione alimentare del bambino, sin dai suoi primissimi mesi di vita. Non si comprende il valore patognomico di un sovrappeso, rispetto agli standard, anche in tenerissima età, ossia entro il primo anno di vita. Anzi, un bimbo grassottello viene visto come un bimbo sano e bello, avente un valore aggiunto rispetto ai coetanei normopeso.
Da un lato, le mamme sono influenzate, chi più chi meno dalla pressione verso la magrezza, dall’altro si rilassano e, talvolta, in modo ossessivo, cercano di rimpinzare il proprio piccolo per farlo crescere.
Inoltre, non bisogna trascurare l’importante condizionamento inevitabile che ha luogo, sin dalla nascita, tra il momento del nutrimento e quello affettivo delle coccole e del senso di protezione, nutrimento anch’esso del sé.
Man mano, poi, che il bimbo cresce diminuiscono le manifestazioni affettive, o comunque si trasformano, coinvolgendo meno le sensazioni propriocettive, venendo a mancare la comunicazione affettiva, vissuta a livello corporeo, (oppure la corretta soddisfazione di bisogni di protezione, stabilità, affetto, attenzione, calore, compagnia ascolto, comprensione, intimità, cura e accettazione) per cui diviene possibile, specie in talune situazioni ad alto rischio, il compenso attraverso il cibo, anche in termini di rivalsa.
Alcuni fattori socioculturali sono responsabili dell'insorgenza e del mantenimento dei DCA in soggetti vulnerabili e predisposti: tra questi vanno considerati la cultura consumistica e la sovrastimolazione massmediatica rivolta a tutte le età e a tutte le ore del giorno (cosa che comporta una progressiva alterazione dei segnali di fame e sazietà); la cultura della magrezza, che, allorquando i modelli perfetti e patinati proposti dai media divengono irraggiungibili, rischia di trasformarsi in una "cultura della non magrezza"; la sedentarietà, per cui non si fa più movimento come prima: più i bambini e i ragazzi fanno parte di un ceto medio-alto, più sono sottoposti alla sovrastimolazione mediatica e all’effetto consumistico di questa, per cui scelgono giochi e passatempi che riducono
notevolmente l’attività fisica.
Il livello d’istruzione dei genitori influisce sul fenomeno obesità e su quello dei disturbi dell’alimentazione poiché si correla all’assenza di una "cultura dell’alimentazione", per cui si finisce con l’insegnare ai propri figli a mangiare male, sia in termini di qualità, che di quantità, che di orari, e di una "cultura del benessere", in senso lato, includendo in essa la frustrazione del bisogno di movimento.
Difatti, la diffusione della pratica della attività fisica è oggi un problema di cultura. Diversi studi dimostrano come la pratica dello sport diminuisca tra i 16 e i 20 anni, sia per le ragazze sia per i ragazzi. Le ragioni di ciò si riscontrano in molteplici fattori sociali: la generalizzazione dell’utilizzo dei veicoli a motore da parte dei giovani a partire dai 14 o 16 anni, l’attrazione per altre attività di svago, etc.
Secondo i dati raccolti dall’ISTAT, nell'età adolescenziale il fenomeno dell’obesità è presente con una percentuale maggiore nei maschi: a mio avviso, la problematica alimentare coinvolge, oggi, in modo indifferenziato tutti gli adolescenti, a prescindere dal sesso: il dato riportato deve essere spiegato tenendo conto del fatto che le ragazze adolescenti sono più esposte al rischio di altre patologie del comportamento alimentare, quali l’anoressia e la bulimia, essendo maggiormente influenzate dalla cultura competitiva della magrezza.

 


 

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